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Delrio: «Tra Pd e Cinque Stelle la distanza è sostanziale»

Graziano Delrio è pronto al dialogo con i due vincitori, ma sulle riforme e non sulle poltrone. Al Quirinale il capogruppo alla Camera porterà la determinazione del Pd a tenere conto del voto degli italiani: «Non siamo minoranza per scelta o per capriccio, non si può fare finta che il risultato delle elezioni sia stato un incidente».

Di Maio vi rimprovera di sottrarvi alle convergenze. Siete pronti a parlare di governo con il M5S?
«Se per trovare convergenze propongono la flat tax per far pagare meno tasse ai ricchi togliendo risorse a scuole e sanità pubblica, l’argomento è chiuso. E se vogliono cancellare la legge Fornero io dico che è pericoloso, perché minando il sistema rischiamo di non pagare più le pensioni».

Lascerete che nasca un governo Di Maio-Salvini?
«La nostra linea è chiara, vogliamo rispettare il risultato del 4 marzo e su questo siamo d’accordo con Salvini e Di Maio. La democrazia si rafforza quando si rispetta il voto, non tenerne conto invece può essere pericoloso. Non tifiamo per nessun governo con programmi che danneggiano l’Italia».

Continuerete a disertare i tavoli di confronto?
«Ci possiamo sedere sempre, ma mi sembra impossibile che le differenze siano scomparse a venti giorni dal voto. Se siamo seri dobbiamo dire che le distanze programmatiche, tra noi e la Lega e tra noi e i 5stelle, su molti temi sono sostanziali. Non è questione di renziani o non renziani, ma di contenuti».

I vincitori volano nei sondaggi, voi siete fermi. Eppure lei come Renzi pensa che l’opposizione gioverà al Pd?
«Fa bene al Paese una minoranza ricca di proposte per il benessere di famiglie e imprese. Accusarci di immobilismo prima ancora che parta la legislatura è ingeneroso. Dobbiamo fare un’analisi profonda della sconfitta e mettere in campo la nostra agenda programmatica, non possiamo solo contrastare quella altrui. Sulle cose che interessano gli italiani non staremo a guardare, saremo protagonisti».

Intanto M5S e Lega si prendono tutte le cariche. Non hanno ragione Franceschini, Emiliano, Orlando e gli altri che spingono per il confronto?
«La nostra serietà non sia presa per debolezza. Noi abbiamo rifiutato confronti per rispetto alle consultazioni e al ruolo del presidente della Repubblica. Per ora 5stelle e destra sono stati molto abili a spartirsi le poltrone, più che a garantire le regole e il buon inizio della legislatura».

Un pontiere come lei non ha la tentazione di allearsi con il M5S contro la destra?
«Dialogo sempre con tutti quelli che si impegnano a risolvere i problemi, come ridurre le diseguaglianze e aumentare la giustizia sociale. Non abbiamo preclusione al confronto sui temi che aiutano la vita delle persone, ma le loro ricette sono sbagliate».

E se Mattarella vi proponesse un governo di scopo?
«Il presidente troverà nel Pd ascolto, attenzione e la massima collaborazione, come ha deciso all’unanimità la direzione del Pd. Ma io non so cosa voglia dire governo di scopo».

Un governo che fa la legge elettorale, ad esempio.
«Sì, ma quale legge? La politica italiana è ammalata di formule e liturgie, io vorrei che parlassimo di contenuti».

II Pd rischia l’estinzione?
«No, se ripartiamo dai principi e dai valori e ricostruiamo una identità più forte in una società che è cambiata. In questa traversata, che non sarà nel deserto perché abbiamo con noi sei milioni di elettori, dobbiamo giocare un ruolo. Ritroviamo uno slancio partendo dalla sofferenza delle persone e poi vediamo cosa succede».

Renzi esercita un potere di interdizione sul Pd?
«No. Marcucci e io non abbiamo un capo o una società esterna che ci dà ordini. A differenza del M5S il nostro regolamento è aperto alla pluralità, non c’è uno che decide per tutti. Io mi confronto con Matteo sui contenuti e lui, avendo fatto il passo indietro, vuole che il Pd faccia il suo percorso con serenità. Ma è un senatore e non gli si può chiedere di non essere un dirigente del Pd».

Perché allora, sull’elezione dei capigruppo, Martina ha minacciato le dimissioni?
«C’è stato un confronto in un gruppo dirigente allargato e poi il reggente ha fatto la sintesi».

La leadership di Maurizio Martina è stata intaccata?
«Ho governato il Paese per cinque anni e non credo che la leadership si eserciti sulle nomine. Il congresso ha disegnato un’area di maggioranza che va da Martina a Orfini e dialoga con la minoranza. L’unità nella diversità è un valore».

Il Pd sembra già in pieno congresso. Lei si candida?
«Il Pd ha intelligenze migliori e io, anche per ragioni familiari, non sono disponibile».

Gentiloni può essere il traghettatore?
«Non lo so. Non ci serve un capo, ma un orizzonte. Con metafora pasquale direi che dobbiamo lavare i piedi, servire i tanti smarriti in questa società. Io come Grillo sono gaberiano, sono contro le ideologie, ma non si può dire che destra e sinistra non esistano più. C’è una destra nazionalista, cattiva, che divide la società e mette in pericolo la pace. Su questioni sostanziali come la democrazia i 5stelle hanno una visione molto diversa dal Pd, che deve far circolare idee di sinistra».
Non è il caso che si dimetta da ministro?
«Sto chiudendo gli ultimi atti per i territori. Sono pronto».

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