Ministro De Vincenti, fino a qualche giorno fa pensavamo che la precedente fosse la sua ultima intervista con noi. Invece i tempi sembrano allungarsi ulteriormente.
«Io intanto, per correttezza istituzionale, non solo ho fatto, come si usa dire, gli scatoloni ma li ho anche portati a casa mia. Ho voluto salutare tutto il personale col quale ho collaborato. E un po’ di commozione l’ho provata. È stato un periodo di lavoro molto intenso. A loro ho detto di essere orgogliosi di quanto abbiamo realizzato e di quanto è stato messo in moto. Spetta adesso alle strutture ministeriali il compito di mantenere acceso il motore dei tanti provvedimenti presi. Al governo che verrà quello di non disperdere un patrimonio di iniziative che hanno cominciato a dare frutti importanti. Leggo che anche il presidente della Camera, Roberto Fico, riconosce che il Mezzogiorno ha saputo in questi ultimi anni rialzare la testa dopo una crisi terribile».
Che idea si è fatto? Riusciranno Salvini e Di Maio a trovare un’intesa?
«Qui bisognerebbe avere doti divinatorie delle quali sono sprovvisto».
Ha letto la bozza di “contratto” tra MgS e Lega? Cosa ne pensa?
«Prima di tutto che la parola Mezzogiorno neanche viene citata. Non è un caso: manca qualsiasi indicazione di politiche e provvedimenti per il Meridione. E pensare che il M5S ha fatto il pieno di voti proprio al Sud. Evidentemente per loro, passate le elezioni, le istanze e i bisogni del Mezzogiorno possono pure aspettare. Il fatto è che lo sviluppo del Sud richiede un’azione metodica di politica industriale e territoriale fatta di visione del futuro produttivo e sociale del Mezzogiorno e di misure concrete: infrastrutture, risanamento ambientale, valorizzazione culturale e sviluppo turistico definiti nei Patti per il Sud, rilancio degli investimenti privati con il credito d’imposta e con le Zone economiche speciali, cura dell’occupazione giovanile con la decontribuzione e con Resto al Sud. La prima cosa che M5S e Lega devono dire ai cittadini del Meridione è che fine faranno fare a quest’insieme di strumenti e risorse che noi abbiamo messo a disposizione del Sud. Sarebbe un delitto abbandonare la politica meridionalista messa in campo dal nostro governo».
E per quanto riguarda invece le misure contenute nel “contratto”?
«Colpisce ma non stupisce la totale assenza di misure definite in modo concreto: siamo di fronte a un esempio generico, dove i nodi chiave del futuro del Paese e delle scelte da fare vengono attentamente evitati. Laddove invece si entra nel merito, ci si lancia in proposte irresponsabili, come la reversibilità dell’euro, o estranee al perimetro costituzionale, come il cosiddetto comitato di conciliazione. Si tratta di improvvisazioni che portano con sé rischi pesanti per il nostro Paese».
Il reddito di cittadinanza, secondo il “contratto”, costerebbe all’Italia 17 miliardi l’anno a cui aggiungere fondi europei per coprire la spesa. È fattibile?
«Prima di tutto, se fosse veramente il reddito di cittadinanza di cui i M5S parlavano originariamente, cioè un reddito garantito a tutti i cittadini in quanto tali, costerebbe enormemente di più. In tal caso, la vera domanda da porsi sarebbe: è una ricetta giusta ed equa accollare alla collettività costi finalizzati a tenere le persone, soprattutto i giovani, a casa a fare nulla? Ma la cifra fornita dice che la proposta, comunque ancora molto onerosa, è già stata sensibilmente ridimensionata dai suoi stessi ideatori. Ne un ipotetico utilizzo del 20 per cento del Fondo sociale europeo ne cambierebbe la consistenza in modo significativo. In realtà, correggere in corsa una impostazione sbagliata è impresa che difficilmente riesce. E a loro non è riuscita».
A proposito di fondi europei sono veri gli allarmi? Si rischia di perderli?
«Guardi, nel 2017 con 2,6 miliardi di spesa certificata abbiamo più che centrato l’obiettivo che aveva stabilito la Commissione europea. Per il 2018 l’obiettivo oscilla tra i 7,9 e i 9 miliardi: tenendo conto che al 31 dicembre scorso avevamo già erogato spese per quasi 4 miliardi e attivato procedure per 24,6, l’obiettivo 2018 risulta del tutto conseguibile. Certo però non bisogna abbassare la guardia e per questo ho scritto a tutti i presidenti di Regione, da Nord a Sud, e ai ministri responsabili affinché le procedure di spesa vengano accelerate al massimo».
La proposta della Commissione Europea per il bilancio pluriennale post Brexit, ossia 2021-27, prevede un taglio tra il 5 e il 7 per cento ai Fondi di coesione. Il Sud rischia di essere penalizzato?
«È un allarme da ridimensionare. A leggere bene la proposta, si fa una scoperta interessante: i due fondi che impattano sull’Italia, ossia il Fondo di sviluppo regionale e il Fondo sociale, sono aumentati in termini nominali e invariati in termini reali (cioè a prezzi 2018). Il taglio è stato operato sulla parte dei fondi che non impatta sul nostro Paese. È un risultato che abbiamo ottenuto e che andrà difeso dal prossimo governo. Aggiungo che abbiamo impostato una discussione sui criteri per il riparto dei due fondi che potrebbe migliorare l’allocazione a favore delle regioni italiane. Piuttosto, c’è da recuperare su un altro versante, diverso dalla coesione: sto parlando del taglio proposto dalla commissione sul Fondo europeo di sviluppo agricolo, un taglio questo sì rilevante e che noi riteniamo sbagliato».
Il professor Cassese dice: ‘quello che mi preoccupa di più in questa fase è l’afonia di chi si dice opposizione’. Si riferisce al Pd ovviamente. Che continua a litigare su congressi, ipotetiche scissioni. Pensa che sia un’esperienza da archiviare?
«Assolutamente no, ha ragione Veltroni. Penso però che ci stiamo mettendo un po’ troppo a riprenderci dallo choc elettorale e a mettere in campo una risposta all’altezza della situazione che abbiamo davanti e che, come ho già detto, presenta profili molto preoccupanti di rischio per il nostro Paese. Il Pd, partito della responsabilità nazionale, deve archiviare i personalismi che lo hanno già danneggiato abbastanza e attrezzarsi per fare da sicuro ancoraggio democratico per tutti gli italiani“.