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D’Attorre: “Meloni peggio di Monti sull’austerità. Uno tsunami su università e ricerca”

Alfredo D’Attorre, responsabile nazionale per università e ricerca del Partito Democratico, e professore di Filosofia del diritto, lancia l’allarme: l’università pubblica italiana sta entrando in una fase di grave definanziamento, peggiore persino di quella vissuta durante i governi Berlusconi-Gelmini. Intervistato dal Manifesto, a margine di un’iniziativa pubblica su questi temi, D’Attorre critica duramente le scelte del governo Meloni e della ministra Bernini, delineando uno scenario preoccupante per il futuro della ricerca e dell’istruzione superiore nel nostro Paese.

Tagli record e sottofinanziamento cronico
Secondo quanto si apprende, la legge di bilancio 2024 prevede tagli al sistema universitario per 500 milioni di euro, con ulteriori riduzioni di 702 milioni nei prossimi tre anni. A questi si somma un aumento dei costi, come l’adeguamento degli stipendi del personale, interamente a carico degli atenei. Il risultato è un’università pubblica già sottofinanziata rispetto alla media europea, che si troverà in una crisi ancora più acuta.”La ministra Bernini – afferma D’Attorre – nega l’esistenza di questi tagli, ignorando una realtà evidente”.Quello di Bernini, spiega il responsabile Università del Pd, “pare un atteggiamento di rimozione della realtà. La ministra sta subendo in modo troppo disciplinato le decisioni di politica economica del suo governo. Avrebbe dovuto fare un’altra
scelta: intestarsi la battaglia contro il definanziamento e chiedere un sostegno bipartisan”.

Riforme che aggravano il precariato
D’Attorre critica inoltre la riforma annunciata dalla ministra Bernini sull’accesso all’insegnamento universitario, che allungherà il periodo tra il dottorato e l’ingresso in ruolo, aumentando il precariato accademico. Particolarmente controversa è l’introduzione della figura del “professore aggiunto”, reclutabile per chiamata diretta e senza qualificazioni scientifiche. “È una provocazione – dichiara D’Attorre – verso migliaia di ricercatori qualificati che non trovano spazio nel sistema accademico, mentre si importano pratiche delle università telematiche nel pubblico”. C’è poi un’altra “ciliegina sulla torta”, che attiene agli atenei telematici: “Invece di regolamentare le università telematiche – dice D’Attorre – , si importano le loro modalità nell’università pubblica. E evidente il filo che unisce la deregulation delle università telematiche,contenuta nel decreto-Bandecchi,con i ta-
gli alle risorse e la precarizzazione della ricerca”.

Fine del Pnrr e rischio tempesta perfetta
Un’ulteriore allerta si deve lanciare per la fine dei finanziamenti del Pnrr nel 2026. I precari assunti con queste risorse rischiano di restare senza prospettive, aggravando l’impoverimento strutturale del sistema universitario. “L’università italiana – avverte – si avvia verso una tempesta perfetta tra tagli ordinari, riduzione delle risorse e precarizzazione della ricerca”.

Strategia per indebolire il pubblico
Quella su università e ricerca non è un’azione isolata, ma fa parte, ricorda D’Attorre, di una strategia più ampia del governo Meloni, volta a impoverire il welfare pubblico a vantaggio di quello privato. “Ciò che accade nell’istruzione – spiega – è speculare a quello che la destra sta facendo nella sanità”. I tagli agli enti locali, stimati in 12 miliardi di euro, rischiano di colpire pesantemente servizi essenziali come trasporto, istruzione primaria e servizi sociali.

Senza un cambio di rotta, l’università italiana rischia di uscire più povera, meno attrattiva e incapace di affronrtare le sfide del futuro. “Investire nell’università pubblica non è solo una scelta politica, ma una necessità per il progresso del Paese”.

 

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