Una sconfitta severa che chiude una stagione e lo fa nel modo più esplicito giudicando una classe dirigente. Non esce smentita solo una riforma divenuta in corso d’opera un plebiscito e un ballottaggio sul governo. I numeri dicono di una partecipazione straordinaria e l’esito non lascia margini. Adesso per prima cosa bisogna dare le certezze che servono. Ho ascoltato il discorso di dignità del capo del governo. So come tutti che al Quirinale siede un uomo che garantirà saggezza nelle scelte. È bene che la crisi trovi sbocco nel breve e che noialtri si affronti subito il tempo che si apre. Lo dico perché dinanzi a percentuali simili ci si può confortare del 40 per cento spiegando che dall’altra parte non esiste un’offerta capace di tradurre la valanga di No in un disegno comune. Ma è un’altra scommessa fragile.
Un’altra risposta implica radicalità . E molta sincerità nel dirsi che serve rifondare il nostro sguardo sul mondo e il nostro modo di starci. Vuol dire aver coscienza che l’autosufficienza o la solitudine del potere non pagano e che usiamo ricette superate mentre bisogni e sentimenti hanno preso una piega distante dai nostri riti e miti. Aggiungo che non vale come scusa il passepartout del populismo. Perché ho incrociato persone semplici convinte che si dovesse capire il merito. Questa idea che il popolo sia preda di bassi istinti è una delle regressioni che dobbiamo contrastare. Tanto più che i messaggi sbagliati sono scesi dall’alto. La minaccia di una svolta autoritaria non ha giustificazione, come su un piano diverso ridurre la riscrittura della Carta a un problema di costi o taglio dei politici.
Continuo a credere che se il vertice del Pd avesse per tempo cercato una condivisione più larga, fuori e dentro il Parlamento, forse molti di più avrebbero fatto proprio il senso della scelta e compreso che il cuore del tema era la risposta a quella crisi della democrazia che incalza l’Europa e in generale l’Occidente. Ma non è accaduto. Anche per tutto questo io ho provato fino all’ultimo a non spezzare il filo dentro il Pd. E con altri a non rinunciare a pensare il dopo. L’ho fatto e lo rifarei perché sono convinto che rinunciare a immaginare un nuovo centrosinistra civico e di governo possa segnare il destino del paese. Confesso, non ho trovato la stessa ansia e cura da parte di chi è alla guida né da parte di tutti coloro che pure avevano condiviso le richieste di nuove regole per l’elezione dei senatori e della Camera.
Oggi facciamo i conti con la fine dell’esperienza di questo governo e con un dividendo politico che temo possa premiare la destra, cioè l’ultima cosa che avrei voluto. E però dobbiamo reagire. Servirà anche un congresso da fare presto. Da non ridurre a conta nei gazebo perché dopo questa tempesta la prova non è certificare il braccio di ferro tra correnti, ma capire il futuro di una forza come la nostra a partire dalla lotta a diseguaglianze immorali e per una nuova etica e dignità del lavoro. Da una tensione per ciò che sarà la sinistra domani. Perché se dio vuole questa campagna stressante si è chiusa e da qui in avanti le parole chiave da spendere dentro ogni circolo, come nella direzione del partito e nel dialogo con la sinistra fuori da noi, saranno ponte e ricostruzione. Serviranno a rimetterci in sintonia con pezzi interi di società . Lo si farà solo ricostruendo una partecipazione dal basso e l’unità di quei popoli della sinistra che in questi mesi si sono risvegliati divisi.
Bisognerà ripensare tutto e rimescolare davvero culture, biografie, sensibilità . Lo so che farlo è la cosa più difficile ma è anche la sfida più suggestiva che abbiamo davanti se vogliamo far nostro quel vento positivo che nella stessa domenica del referendum ha liberato l’Austria da un’ipoteca drammatica. Per quanto potrò, con altre e altri, lavorerò a questo. Dobbiamo reagire, servirà anche un congresso da fare presto per capire il nostro futuro Bisogna partire dalla lotta a diseguaglianze immorali, per una nuova dignità del lavoro.
Il commento di Gianni Cuperlo su l’UnitÃ