Non vi ho mai parlato qui sopra della vigilanza di Botteghe Oscure. Forse perché non è mai capitata l’occasione o anche per una ragione più banale, perché ci sono sempre le pagine della cronaca e della politica che meritano un’attenzione maggiore.
Ma quella vigilanza ha sempre avuto qualcosa di epico. Era una forma particolare di adesione a quel partito. Era anche un mestiere assai più che dignitoso. Compagni reclutati rigorosamente attraverso una cooptazione a cerchi concentrici.
Credo fosse quasi obbligatoria una radice familiare di militanti comunisti e comunque le referenze che ti venivano non potevano che essere quelle di una buona reputazione in sezione, vera garanzia di affidabilità .
Lo stipendio non era granché, del resto come quello dei funzionari. Al bancone dell’ingresso, di fianco alla bandiera della Comune di Parigi (per inciso è ancora lì) turnavano in un certo numero, più o meno sempre gli stessi.
Negli anni in cui ho messo piede io nel palazzo c’era anche il turno della notte: insomma, il presidio non veniva mai a mancare. Poi c’erano i compagni addetti all’accompagnamento o alla scorta di alcuni dirigenti, a partire dal segretario.
In quei casi si determinava spesso un rapporto di amicizia e affetto tra chi saliva in macchina e il dirigente che utilizzava il servizio.
Con molti di loro negli anni è cresciuta una consuetudine fatta di parole scherzose, di battute. Ma fatta anche, nei lunghi viaggi su e giù per l’Italia, di discussioni politiche, appassionante come poche. Perché questi compagni hanno sempre portato con sé il senso di una militanza che non aveva nulla di burocratico, di obbligato. Della politica conoscevano potenza e passione.
Poi te li ritrovavi nei congressi, a garantire che tutto funzionasse come doveva. Te li ritrovavi nelle manifestazioni, lungo i cortei o sotto i palchi delle piazze a vigilare che le cose andassero per il verso giusto. E sono diventati così per tanti di noi i volti familiari di quella storia collettiva che con tutti i suoi limiti noi abbiamo amato anche perché ci ha fatto diventare quello che siamo.
Tutto questo ve lo racconto per una ragione. Perché ieri pomeriggio sono arrivato con la Vespa sotto il Nazareno. C’erano parecchi giornalisti in attesa della fine dei colloqui, delle consultazioni sulla legge elettorale ma io salivo al terzo piano per fare un’assemblea della nostra associazione di Roma e del Lazio. E così sono entrato, ho salutato Mario e di fianco a lui Guido. Poi la sera me ne sono andato quando stavano per chiudere il portone del palazzo. Anche Guido deve essere andato a casa un po’ prima e poi questa notte improvvisamente ci ha lasciati.
È stato un compagno che ha visto, vissuto, condiviso tante pagine, tanti momenti. Lui come altri avrebbe potuto raccontare che cosa è stata l’appartenenza politica per parecchie generazioni che si è visto sfilare davanti. Volevo ricordarlo qui con pochi cenni, un senso di gratitudine e un grande abbraccio.
*Post pubblicato sulla pagina Facebook