Caro Direttore, ho letto con attenzione e una certa angoscia il suo editoriale di ieri. Al fondo perché mi pare rispecchi una condizione oggettiva. È passato quasi un mese dalla peggiore sconfitta della sinistra nella storia del Paese. Il Partito democratico è precipitato al 18 per cento e, se fossero veri i sondaggi di questi giorni, saremmo persino alle prese con un potenziale sorpasso leghista.
Di fronte a uno scenario simile è impressionante il rinvio di un’analisi seria su quanto è avvenuto. Vedo che ci si confronta sull’ancoraggio o meno all’opposizione come fosse un dato che può prescindere dallo sviluppo degli eventi, e soprattutto senza sapere se un qualche governo al quale opporsi sarà in grado o meno di vedere la luce.
Le dimissioni del segretario sono state un atto dovuto. Un segno di consapevolezza che sul piano umano gli ho riconosciuto dal primo istante. Nei fatti però la classe dirigente è la stessa di prima e finora agisce senza la discontinuità necessaria. Si discute più o meno apertamente se la prossima assemblea dovrà confermare la reggenza di Martina, anche dopo il lavoro generoso di queste settimane, o scegliere un profilo diverso.
Tutto questo mentre il Paese è privo di una maggioranza e mentre il mondo dal Medio Oriente alle sterzate di Trump è segnato da eventi enormi e carichi di implicazioni per l’Europa e per noi. Sarà logoro dirlo, ma pare di stare sul Titanic dopo l’iceberg. Temo che lo spettacolo che tutti stiamo offrendo maggioranza, minoranze e senza credo sia inconciliabile con la gravità della scena.
Chiedo al segretario reggente e al presidente del Partito di convocare in tempi certi l’assemblea nazionale. Aggiungo solo che se poi il tutto si risolvesse in una mera conta su accordi e decisioni già presi e senza un confronto vero, il Pd pagherebbe un prezzo incalcolabile.
Dopo le urne del 4 marzo solo una radicale fondazione di pensiero, azione, presenza, può restituire alla sinistra quella funzione che al momento pare ipotecata. Anche per questo credo sarebbe simbolico convocare quell’organismo in forma aperta, ascoltando voci e contributi esterni, facendo dell’appuntamento l’avvio di un sentiero nuovo da imboccare dopo la valanga.
A quel punto la scelta di un segretario e un gruppo dirigente incaricati di guidare il Pd al congresso assumerebbe un carattere diverso, meno subalterno verso correnti e capi di eserciti che il voto ha visto evaporare lasciando in campo i capi ma senza gli eserciti. Insomma il tema vero è interrogarsi su cosa debba essere e possa divenire un nuovo Partito Democratico. D’altra parte, se non ora quando?