Carlo Calenda, lei vede una lezione per il Pd dal voto spagnolo?
«In Italia se vince Blair diventano tutti liberisti, se vince Corbyn allora tutti socialisti. Siamo fatti così perciò sto molto attento a trasferire le elezioni degli altri alla situazione italiana. Penso però che l’elemento vincente del Psoe sia stato aggiornare la classe dirigente e le idee. Lo stiamo imparando anche noi».
In Spagna i socialisti governavano già da alcuni mesi. Ha funzionato anche il pragmatismo delle loro politiche?
«Certo. Serietà e pragmatismo sono buone ricette dopo la sbornia populista e sovranista. Sta tornando un messaggio chiaro: siate seri. Spingerà positivamente anche noi alle elezioni europee».
Cacciari suggerisce di eliminare il moderatismo dal vocabolario della sinistra. E che la presenza del suo movimento nel simbolo Pd non va in questa direzione.
«Questo è tatticismo politico che non vuol dire assolutamente nulla. Il grande limite di Cacciari è fare ragionamenti di topografia politica: destra, sinistra, centro. Non coglie il punto. Il governo che doveva essere vicino al popolo ha rimosso un pezzo di Paese: quelli che studiano, lavorano, producono e faticano. Anche la sinistra ha perso questo pezzo di mondo. Ha semplificato fenomeni complessi come l’innovazione tecnologica, il multiculturalismo, la globalizzazione. Adesso deve recuperare il terreno».
Lei non è l’élite che fa perdere la sinistra, come dice Cacciari?
«La mia idea nella vita pubblica è sempre stata quella di lavorare per le persone. Questa è la differenza tra la classe dirigente e l’élite che si autoperpetua. Eppoi un filosofo che critica l’élite non ha il senso del ridicolo».
La mette sul piano personale.
«Beh, nel caso di Cacciari non stiamo parlando di un operaio dell’Alcoa».
Cosa significa élite che si autoperpetua?
«Che prende posizione solo sulla base di convenienze personali. Per esempio, Salvini è il massimo dell’élite: sfrutta la paura della gente al solo scopo di farsi un altro giro. Vede, io stavo a tutti i tavoli di crisi ma non per questo andavo ogni giorno ai cancelli delle fabbriche o in piazza come fa Salvini. Il mio lavoro da ministro era risolvere i problemi».
Sembra ottimista sul risultato delle Europee.
«Lo sono. C’è un forte malessere che si sta sviluppando rispetto ai partiti della maggioranza. Il 60 per cento degli italiani non è contento del governo, dicono i sondaggi, ma c’è un buco nell’offerta alternativa. Quel buco lo stiamo riempiendo con programmi e liste serie. Un altro motivo per pensare positivo è che non litighiamo fra di noi. Dopo mesi di tribolazioni sul patto tra Pd e Siamo europei ora andiamo d’amore e d’accordo».
Conferma che gli eletti della sua formazione andranno nel gruppo socialista, senza fare turismo politico a Strasburgo?
«Sì. Abbiamo già escluso l’adesione all’Alde. Poi vediamo se nasce una forza progressista collegata. È quello su cui sta lavorando Macron. Un ponte tra l’Alde e il Pse superando le vecchie categorie».
È possibile invece un dialogo tra Pd e 5 stelle sui temi del lavoro?
«No, non esiste un dialogo politico con un partito che sta portando il Paese allo sfascio e che è antidemocratico, cosa che Cacciari e altri fanno finta di dimenticare. Diverso è il merito di provvedimenti che vanno in Parlamento: si guardano, si esaminano ed eventualmente si votano».
Prima o poi bisognerà immaginare un governo con qualcuno degli attori in campo.
«Non con quelli attuali. Lega e grillini non governano da un lato perché non possono, perché non hanno classe dirigente. Con l’eccezione di alcuni leghisti che però sono i più lontani da Salvini, come Zaia. Dall’altro lato hanno promesso tutto e il contrario di tutto e oggi sono impantanati. Guardi Di Maio su Alitalia. Dopo tante chiacchiere la sta rinazionalizzando. Butteremo altri miliardi di curo».