Quando convocai al ministero il tavolo per Roma molti nel Pd s’infuriarono. Ma che sei matto, dicevano. Aspettiamo che passi il cadavere di Raggi. Gli risposi: se va avanti così passerà prima il cadavere della Capitale». Carlo Calenda ricorda il suo turbolento rapporto con la sindaca grillina. Dalla disponibilità del governo si passò presto alla totale incomunicabilità.
Oggi Calenda dice che la vicenda dello stadio della Roma si poteva intravedere già in quello scontro. «Non penso che Raggi sia una persona cattiva né corrotta né parte di un sistema. È un’improvvisatrice, non controlla la situazione, non legge una carta. È dilettantismo allo stato puro.
In questi casi il rischio è affidarsi a personaggi poco perbene e nascono i problemi penali». Allora, «se la situazione precipitasse», Roma dovrebbe diventare il laboratorio di una riscossa che superi il Partito democratico, il suo simbolo, la sua storia.
Cosa vide a quel tavolo?
«Una città fuori controllo. La sindaca e il suo staff non hanno dimestichezza con il budget, non sanno definire le priorità e non sono capaci di organizzare una gara. In cinque anni di ruolo pubblico non ho mai incontrato un simile livello di impreparazione».
Anche nel privato non mancano gli scarsi.
«Certo, ma nel privato se non funzionano li licenziano o falliscono. Tornando al tavolo lo avevano chiesto i sindacati, la mia disponibilità era massima. Con la Regione l’approccio è stato molto costruttivo e alla fine abbiamo finanziato 10 progetti su 19. Fondi della Regione e del Governo, senza una lira del Comune. Da parte di Raggi venne subito fuori una diffidenza parossistica. Una paura del contagio. E la mancanza di un metodo strutturato. Direi che con Di Maio al ministero sta succedendo la stessa identica cosa».
È appena arrivato.
«Vero. Ma non ha voluto neanche fare il passaggio di consegne. Sempre la questione del contagio. Eppoi al governo bisogna decidere. Invece Di Maio continua a rimandare sull’Ilva e sembra che speri che l’investitore scappi per levarsi dall’impiccio. Annuncia un “decreto dignità” senza spiegare bene cosa ci sarà dentro. A uno direi che il suo compito è non far chiudere le fabbriche, all’altra invece di chiudere le buche. La verità è che quando arrivano al governo i M5S si sciolgono».
Lei ha detto no alla candidatura in Parlamento, no ancora alla segreteria del Pd. Se la situazione precipitasse potrebbe dire di sì per fare il candidato sindaco di Roma?
«Mi piace la politica industriale, internazionale ed economica. Non è la mia dimensione. Ma aggiungo: Roma può essere decisiva per preparare la riscossa. I municipi sono l’istituzione più vicina ai cittadini. È la dimensione dove è più facile mobilitare energie nuove. La capitale deve diventare l’occasione per costruire un fronte più ampio del Pd. Vinciamo solo se ci allarghiamo. Anche perché le strutture del Pd romane mi sembrano molto respingenti».
suo obiettivo è l’annullamento del Pd?
«Ma figuriamoci. Il mio obiettivo è che il Pd faccia rinascere il campo del centrosinistra. Non lo può fare pensando di mettere tutti sotto le sue insegne e non lo può fare inventandosi partiti satelliti con cui allearsi per finta. Siamo. entrati in una fase della storia drammatica, i prossimi anni saranno difficilissimi per tutti i paesi occidentali. Dobbiamo mettere insieme tutte le energie per tenere in sicurezza il paese. Ci vuole generosità e un nuovo manifesto di valori e proposte per i progressisti in un mondo completamente diverso da quello degli ultimi 30 anni. Su questo bisogna immediatamente lavorare. Sono profondamente convinto che non abbiamo perso perché abbiamo governato male ma perché abbiamo perso la sintonia con le paure del paese, anche usando parole e visioni vecchie».
Nel suo Fronte repubblicano vorrebbe arruolare Marco Bentivogli, Mila Spicola, Giuseppe Provenzano. Non sono nomi un po’ deboli per una start up?
«Per nulla. Sono nomi che rappresentano pezzi di società fondamentali. Bentivogli di un modo coraggioso di intendere il sindacato, Spicola di una visione moderna della scuola. Enrico Giovannini è il punto di riferimento europeo per la sostenibilità. Ma occorre fare una mobilitazione capillare. Penso al movimento dei sindaci di Pizzarotti, a Pisapia, Sala, Gori, Zingaretti e tanti altri rappresentanti di mondi lontani dal sovranismo ma vicini alle paure dei cittadini e che si sono confrontati con il cambiamento. Il baricentro dev’essere Gentiloni e la sua squadra, ma bisogna superare una parte della classe dirigente del Pd ormai logora».
Infatti il Pd si ribella e boccia il suo Fronte.
«Se è una questione di nome troviamone un altro. Se è una questione di feudi devono capire che li hanno già perduti».