Presidente Stefano Bonaccini, non le fischiano un po’ le orecchie?
«Fin dal primo giorno di governo dell’Emilia-Romagna. Non per la pretesa di assalto della Lega, ma perché ho sempre considerato il mio come un incarico pro tempore, dove la partita della fiducia dei cittadini te la giochi in ogni momento».
Le elezioni regionali del prossimo novembre saranno la madre di tutte le battaglie, Matteo Salvini dixit.
«Non ho mai sottovalutato la Lega e non lo farò certo oggi che ha stravinto le Europee, ma ha perso contemporaneamente nell’8o% del voto nei Comuni dell’Emilia-Romagna».
Ci sarebbe Ferrara, per tacer di Forlì…
«Con Alan Fabbri, che fu mio avversario alle regionali del 2014, ci siamo già sentiti stamattina. In questi anni c’è stato tra noi un rapporto corretto e collaborativo, e da oggi è il sindaco di una città straordinaria. Per me la collaborazione tra istituzioni viene prima delle divisioni di parte».
C’era una volta l’Emilia-Romagna rossa?
«E non c’è più, se stiamo alle Europee. Oppure c’è ancora, se stiamo ai risultati delle amministrative. Si leggano i dati: abbiamo vinto 28 comuni su 35 con più di 15.00o abitanti, e nell’8o% dei duecento più piccoli».
Che morale ne trae?
«Due dati mi colpiscono più di altri. Il primo è come i cittadini abbiano saputo distinguere il voto politico delle Europee da quello di governo locale. Il secondo è la persistenza di esperienze civiche al di là dei partiti. Spesso non si riconoscono nel centrosinistra ma, quasi sempre, sono alternative a questa destra, avendo nella solidarietà e nella coesione sociale un elemento imprescindibile».
Si sta preparando il terreno?
«Il nuovo campo democratico che ho in mente parte dal centrosinistra ma deve aprirsi a queste esperienze perché lì c’è un tratto distintivo dell’Emilia-Romagna che voglio cogliere e rappresentare».
A Ferrara e Forlì è sempre colpa del vento nazionale che soffia forte?
«No. Come ho detto, i cittadini hanno saputo distinguere tra voto europeo e voto amministrativo. Vale per noi come per gli altri, a Ferrara come a Forlì. Conta la qualità delle proposte e la credibilità delle persone, è così da tempo e oggi vale ancor di più».
Non le pesa il fatto che le prossime regionali saranno una questione nazionale, per via del loro valore simbolico?
«Vincerà la proposta migliore per l’Emilia-Romagna, e non saranno i comizi di Salvini a determinarne l’esito. La Lega ha tentato di trasformare il voto amministrativo nelle nostre città in un referendum su Salvini, ma ha perso, perché i cittadini hanno scelto con una logica diversa. Faremo in modo che sia così anche per le elezioni regionali».
Su cosa punterà?
«Racconteremo il modo diverso in cui questa regione è governata rispetto al Paese e spiegheremo perché è governata meglio dell’Italia, e perché sarebbe più utile che il nostro Paese fosse governato come questa regione, e non viceversa. Casomai è questo il valore simbolico di una battaglia nazionale».
Chi vince a novembre o quando si voterà?
«Lo decideranno gli elettori. La sera dello scorso 26 maggio, con gli scrutini delle Europee, la Lega stappava bottiglie immaginando il cappotto alle amministrative. Non è andata così».
È convinto che sarà lei l’ultimo a brindare?
«Io non stappo nulla, perché per capire le scelte degli elettori serve umiltà. La pratico, e la raccomando anche alla Lega. Se posso permettermi, questa Regione un po’ la conosco: l’arroganza non paga mai. Se vuoi il voto degli emiliano-romagnoli devi anzitutto rispettarli. Non siamo terra di conquista né uno scalpo da sventolare».