«Più siamo, meglio è», dice Francesco Boccia della possibile candidatura di Marco Minniti alla segreteria del Pd. Mentre l’ex ministro dell’Interno ammette di riflettere «veramente» sulla corsa alla leadership (novità sono attese a breve), il deputato pugliese, tra i primi a scendere in campo in vista delle primarie, è già in clima elettorale: «Ben venga Marco. Più numerosi sono i candidati, più facile sarà evitare la rimozione della sconfitta. Un disastro storico: mai íl Pd era sceso al 18%. Serve un confronto vero. Sarà dura, ma la partita è solo all`inizio».
Vuole trasformare il congresso in una resa dei conti?
«Noi dobbiamo fare i conti con la storia di questi anni. In tanti hanno assistito passivamente alla distruzione del partito e del centrosinistra, che come coalizione non c’è più: una disfatta epocale. Servono scelte molto nette, di forte discontinuità con il passato».
I candidati alla segreteria, con Minniti, sarebbero sei.
«Io mi batto per una riforma radicale di questo capitalismo, sia a livello fiscale, sia sul fronte dei diritti dei lavoratori, e credo che il Pd debba chiedere scusa agli elettori per quanto è accaduto in questi anni, quando il partito tra popolo ed establishment ha scelto l’establishment. Alcuni miei colleghi, da questo punto di vista, hanno qualche problema in più».
Che ne pensa dell’ex capo del Viminale? Qualche suo collega di partito lo considera troppo sbilanciato sul fronte securitario.
«Minniti è stato un eccellente ministro dell’Interno e conosce alla perfezione la macchina della sicurezza e quella istituzionale. Conosco meno, invece, le sue posizioni sui temi economici e sociali. Io rispetto tutti, però adesso è ora di mettere sul tavolo le nostre idee».
Se diventa segretario del Pd, quale rotta indicherà per il suo partito?
«Punto primo: rimettere in connessione le periferie, il popolo, con la sinistra. Punto secondo: scandire con chiarezza le nostre parole d’ordine».
Gli elettori al momento sanno a memoria le parole d’ordine di Matteo Salvini e Luigi Di Maio.
«Perché conoscono i loro messaggi. Salvini parla di muri e fili spinati; Di Maio di aiuti e sussidi, ma con sensibilità – su ambiente e questioni sociali – che incrociano quelle del centrosinistra».
Sta lanciando un ponte verso M5S?
«Non dimentico, ed è emerso in tutte le analisi sui flussi elettorali, che tre milioni e mezzo di elettori del Pd si sono trasferiti nella casa pentastellata».
E quali dovrebbero essere oggi le parole d’ordine del Pd?
«Scuola, lavoro e, di conseguenza, salari. 11Pd dovrebbe battersi per destinare tutti i soldi della manovra per la riduzione del costo del lavoro. Al netto delle battute sul reddito di cittadinanza, io chiedo al governo: questa misura si sommerebbe al welfare attualmente esistente o sarebbe, come era previsto in origine, sostitutiva?».
La «nuova rotta credibile» del Pd porta verso M5S?
«Io ho una certezza: con Salvini, con la sua idea di Europa, io non ci starò mai. E poiché la legge elettorale proporzionale, in un quadro tripolare, impone le alleanze, se non vado con la Lega devo per forza cercare una convergenza con M5S. È inevitabile. Non vogliamo andare né con la Lega, né con i grillini? Benissimo, però dobbiamo modificare la legge elettorale e tornare al maggioritario. Questa legge elettorale non l’ho voluta io, ma Matteo Renzi».