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Bettini: “Credo che gli italiani si siano accorti dell’incapacità dei vincitori a governare”

Giovane ingraiano nel Pci e poi dirigente di tutti i partiti eredi di quella storia. Deus ex machina dell’ascesa di molti leader politici, da Veltroni a Zingaretti. Oggi Goffredo Bettini è europarlamentare del Pd, pensa che sia stato un errore non accettare il confronto con il M5S. E qualche idea per resuscitare il suo partito dopo la sconfitta elettorale ce l’ha. Per esempio che «c’è bisogno di una fortissima discontinuità col passato» (leggi Renzi e il renzismo), e che «l’uomo giusto per presentarsi alle elezioni è Gentiloni. Come candidato premier e come federatone del centrosinistra, magari in una lista che vada oltre il Pd».
 

Cominciamo da Mattarella, fa bene il Pd ad appoggiare il governo del Presidente?

 
«Sì, benissimo. Mattarella offre un’ancora di salvezza, un governo aperto a tutti che faccia poche ma importanti cose: nuova legge elettorale con un netto spirito maggioritario, provvedimenti economici e finanziari non rinviabili e interventi per cominciare a rimarginare ferite sociali profondissime».
 

Ma non sarà che il Pd ha paura del voto e di un’altra sconfitta che sarebbe esiziale?

 
«Io non ho paura delle elezioni. Penso e spero che gli italiani si siano accorti dell’incapacità dei vincitori, Lega e M5S, a coalizzarsi e a governare. Quindi è possibile riconquistare una parte di loro, soprattutto quelli che ci hanno abbandonato per votare Di Maio».
 

Vi hanno abbandonato perché nel Pd non trovavano risposte al loro disagio sociale. Alla rabbia, se vogliamo chiamarla così.

 
«Esattamente, tra gli errori che ha commesso Renzi quello più grave secondo me è stato contrapporre la rabbia alla speranza. Non dovevamo rifiutare la rabbia ma capirla, mettere le mani dentro quel magma. Perché se la gente non vede che tu cerchi di accorciare le distanze tra chi ha molto e chi ha poco, ti abbandona. Se percepisce che abbiamo perso l’interesse per loro, votano Lega o M5S».
 

E gli altri errori dell’ex leader?

 
«A me all’inizio Renzi era piaciuto, ho creduto nel suo spirito di rinnovamento. Ma poco dopo ho assistito a un’involuzione, una chiusura politica e personale, un’impermeabilità a ogni critica. E a quella nefasta divisione del Partito tra fedelissimi e non. Fino a incaponirsi dopo ogni sconfitta che considerava frutto di un complotto».
 

Molti di voi però hanno fatto finta di niente, solo ora vi accorgete dei suoi errori?

 
«Beh, qualcosa in questi anni io l’ho detta, e non solo io. Però certo, forse abbiamo peccato di timidezza anche perché lui aveva vinto le primarie, aveva ottenuto il 40 per cento alle europee ed era molto popolare».
 

E adesso che si deve fare per riemergere?

 
«Adesso dobbiamo ritrovare la nostra gente che abbiamo abbandonato, siamo diventati i rappresentanti dei ceti più protetti. Il Partito dei Parioli. Se penso che nel suo pur efficace discorso di insediamento al governo, Renzi non ha mai pronunciato la parola “giustizia”, capisco che abbiamo cominciato col piede sbagliato».
 

E ora, come si fa a ripartire col piede giusto?

 
«Si riparte sporcandoci le mani nella condizione difficile delle persone. Segnando una discontinuità soprattutto sulla questione sociale, insieme a tutti coloro che sono disponibili a questo cambio di stagione. Altrimenti, se il Pd continua a essere di fatto due o più partiti attraversati dall’odio, allora sarebbe meglio dividersi».
 

Renzi pensa di farsi un partito suo, come Macron?

 
«Se lo pensa sbaglia. In Italia quella borghesia egemone e dinamica che in Francia sostiene Macron non è mai esistita, se non in piccole minoranze di qualità ma irrilevanti dal punto di vista elettorale. Invece noi possiamo ripartire. All’assemblea nazionale si dovrebbe confermare Maurizio Martina come segretario. Poi ci sarà il congresso. Penso che Nicola Zingaretti faccia benissimo a candidarsi alle primarie. E investendo Gentiloni, che ha lavorato benissimo, del ruolo di candidato premier».
 

Un po’ poco per scalare la montagna che vi ha quasi seppellito?

 
«Beh no, se ci rimettiamo al lavoro nel Paese. Per poi tradurre tutto questo in una lista elettorale capace di unire un campo largo, più largo del Pd. Ci vuole un atto politico creativo».

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