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Berruto: “Politiche pubbliche per garantire diritto costituzionale allo Sport”

Dall’intervista di Maurizio Crosetti a Mauro Berruto, edita da La Repubblica

L’ex ct della nazionale di volley inizia raccontando della sua vita e di cosa volesse fare da grande: “In cucina avevamo questo televisore in bianco e nero sopra il frigorifero, era il 1976 e dentro lo schermo volteggiava Nadia Comaneci. L’esercizio perfetto. Ecco, io avevo sette anni e mi si accese la scintilla. In famiglia non c’era nulla di sportivo. Da ragazzo allenavo all’oratorio di San Bernardino, nel nostro borgo operaio. Volevo mettere il naso al Cus Torino che era lì a due passi, così mi presentai con un progetto per il minivolley alle elementari. Ero un piazzista e mi aprirono: un sogno a chilometro zero.

Poi il lungo percorso fino alla nazionale “Ogni sera andavo a guardare l’allenamento della prima squadra del Cus, che allora dominava in Italia e all’estero. Dopo un po’, il coach Gabriele Melato mi fa: “Ehi, visto che sei sempre qui, dacci una mano con i palloni”. Poi mi passò una montagna di videocassette: “Prendi, studia”. Cominciò così. Conobbi Montali, diventai suo assistente, finché non mi arrivò l’incredibile proposta dalla Grecia. Dovevo laurearmi in filosofia. Chiesi al professor Francesco Remotti di darmi un poco di tempo, gli spiegai di quest’offerta greca, lui sorrise e mi rispose: “Ci provi, tanto sappiamo tutti e due che non ce la farà mai”. Mi motivò alla grande. Ce la feci, infatti, e due anni dopo presi la laurea con una tesi di antropologia culturale, la mia materia” .

Lo sport è una forma di arte e cultura, forse con qualcosa in più: perché non ho mai visto la gente abbracciarsi e far festa dopo aver guardato la Gioconda o il Macbeth”.

Berruto continua illustrando come per lui sarà possibile scrivere finalmente la parola sport nella Carta costituzionale: “Il diritto costituzionale allo sport, così come alla salute e all’istruzione, è la strada maestra per costruire un modello nuovo di cultura del movimento. Servono politiche pubbliche per garantire questo diritto. Il nocciolo è la scuola primaria, le vecchie elementari: è lì che nasce la passione per le cose e per il mondo. Ho studiato Costituzioni più giovani della nostra: per esempio quella greca, spagnola, svizzera e portoghese: tutte prevedono politiche sportive pubbliche. Non è assistenzialismo, è ossigeno perché lo sport sta morendo di Covid. E’ senz’altro possibile rianimarlo con i fondi europei, con la defiscalizzazione per chi investe, con la correzione della legge di riforma che definisce i lavoratori e le lavoratrici dello sport, con i voucher alle famiglie da spendere in attività sportive. Molto si potrà fare già in questa legislatura. Vi assicuro che le nostre vite cambieranno” .

Continua parlando del nuovo progetto messo in campo dal Segretario Letta “Le competenze della segreteria appena nata sono inattaccabili: perché la competenza è una virtù. Ma bisogna muoversi anche in orizzontale, come insegna la comunicazione digitale, riavviando le relazioni. Bisogna di nuovo prendersi cura, bisogna faticare. Quando sono stato chiamato alla segreteria, ho chiesto che per favore nessuno mi spiegasse la mappa delle correnti Pd. Io credo in una sola identità: può essere la mia forza, come il motivo che può incenerirmi in sei mesi» .

Berruto illustra quindi la sua teoria sull’allenamento all’ingiustizia “Bisogna imparare a reagire quando si presenta l’imponderabile. Non tutto si prepara e si controlla, ma non tutto si deve subire: me l’hanno insegnato le Olimpiadi.”.

Alle voci che lo vedono futuro sindaco di Torino, risponde così “È una cosa che sento circolare ma non mi è arrivata, e comunque adesso voglio fare quello che posso per lo sport, è una questione di sopravvivenza e di salute pubblica. Per 6 mesi allenai la squadra dell’ex manicomio criminale di Castiglione delle Stiviere, il luogo più vicino all’inferno tra quelli che ho incontrato in vita mia: alla fine del percorso, le 12 persone del gruppo avevano ridotto della metà l’uso dei farmaci. Perché è lo sport, il farmaco”.

Dell’esperienze da ct della Nazionale di tiro con l’arco, Berruto racconta: “Il paradosso dell’arciere è che la freccia scoccata si muove a zig zag, è una faccenda aerodinamica: non si deve mirare il centro del bersaglio per fare 10, cioè il punteggio massimo, ma bisogna scegliere un punto di vista diverso. La freccia nel suo viaggio oscilla, mentre il bersaglio sta sempre immobile. Forse, se non lo centriamo dovremmo smettere di dare la colpa al vento”.

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