Serve uno sforzo collettivo percontrastare la crisi che i dati Istat confermano. Il governo non può agire da solo: «È fondamentale che anche le regioni, gli enti locali, le imprese, il mondo del lavoro si scuotano, escano da attendismi e rivendicazionismi». Il viceministro Pd dello Sviluppo economico Teresa Bellanova (ex bracciante, ex sindacalista Cgil) guarda senza sorpresa le cifre del rapporto. Ma è certa che le politiche del governo siano sulla buona strada.
I dati Istat continuano a dare la stessa fotografia grigia del Paese…
I numeri confermano quello che le analisi politiche del governo avevano già colto. Per un verso gli indicatori tendenti al basso hanno rallentato, per l`altro il trend non si è ancora invertito. Nei fatti abbiamo un settore manifatturiero che ha retto, e, con buona approssimazione, reggerà, ma non è ancora in grado di espandersi. C`è ancora troppa incertezza perché la domanda torni a tirare.
Incertezza politica?
Troppe le variabili in ballo, dalla corsa all`Eliseo al match tra Schultz e Merkel, per non dire dell`esito del referendum del 4 dicembre scorso che ha aperto una fase di instabilità che ci potevamo risparmiare. I numeri sono severi, ma abbiamo dimostrato di saper affrontare i punti di crisi più acuta in chiave non assistenziale,
bensì con la determinazione di ripristinare condizioni di lavoro e di produttività reale. Senza condannare le persone più deboli a un assistenzialismo di cui ci si può anche vergognare.
La donna resta il soggetto più penalizzato.
Anche questa non è una novità, ma io la leggerei in modo inverso. Gli analisti tendono ad affermare che la disoccupazione femminile è esito della crisi. Io dico che soprattutto in Italia e soprattutto al Sud la crisi è anche l`esito di una difficoltà di presenza delle donne, a tutti i livelli. Il punto non è: affrontiamo la crisi per moltiplicare la presenza delle donne ma il contrario. Moltiplichiamo la presenza delle donne per contrastare e ridurre la crisi.
Quando, però?
Abbiamo iniziato a farlo, stiamo continuando a farlo, scontando limiti e difficoltà, condizioni date, quadri politici nazionali e internazionali che non sempre aiutano. Per questo bisogna impegnarsi molto e su più livelli. Non vorrei che la penalizzazione dovesse permanere, magari in forma proporzionale, anche in una fase di crescita.
Il Sud è ancora la pecora nera.
Il Sud paga il conto più salato perché il carattere non congiunturale di questa crisi ha reso evidenti i limiti di tutte, tengo a dire tutte, le politiche meridionalistiche di questi ultimi decenni. Per un verso tarda ancora un`assunzione di responsabilità
delle classi dirigenti meridionali, dal ceto politico a quello imprenditoriale, intellettuale. ll Mezzogiorno ha bisogno di una rifondazione delle sue scelte in sintonia con i mercati internazionali. I fondi europei devono smettere di essere l`ultima versione dell`arte di arrangiarsi.
Questo governo può ancora fare qualcosa?
L`altro giorno il Senato ha approvato definitivamente il reddito di inclusione. Per la prima volta una misura universale contro la povertà, con risorse già definite e certe. Qualche mese fa avevamo varato l`azione contro la povertà educativa. Sono state cantierizzate linee di intervento sulle periferie e sulla rigenerazione urbana, e ricordo che per Svimez la rigenerazione è un driver di sviluppo. I Patti sono stati firmati. Le risorse ci sono. Una prima serie di idee sono già in corso. Il governo ha fatto la sua parte. E` ovvio che la ritengo una parte necessaria ma non sufficiente a fronte dell`immensitàdella questione e del lungo tempo nel quale il Sud è stato abbandonato a se stesso. Cose con cui siamo bloccati per troppo tempo.