Pietro Bartolo è stato medico di Lampedusa, sul fronte più caldo degli sbarchi; oggi è europarlamentare.
Lei ha visto le immagini del barcone inabissato davanti Lampedusa il 7 ottobre e di quei corpi senza vita?
«Purtroppo di questi cadaveri in tanti anni ne ho visti a migliaia. Non è che non mi fa impressione, anzi; ogni volta mi fa sempre più male. Non mi nascondo a dirglielo, ogni volta che succedono queste cose, o che vedo certe immagini provo vergogna e mi viene da piangere».
Una madre con il suo bimbo abbracciati, un’immagine terribile e potente che impressiona e scuote le coscienze solo a pensarla.
«Non posso neanche immaginare il dolore di questa mamma che muore con il suo bambino abbracciato. Ma non è possibile che ci sia gente che ancora, difronte a fatti del genere, non solo si possa girare dall’altra parte ma che anche faccia uscire dalla bocca certe parole che fanno rimanere di stucco. Siamo diventati così? L’uomo e l’umanità sono diventati così?
Lei è stato tanti anni il medico di Lampedusa in prima linea negli sbarchi di migranti. Ogni tanto ritorna nella sua isola?
«Domenica scorsa ci sono tornato dopo un mese, e ci sono rimasto solo un giorno. E in quel solo giorno ho assistito a quattro sbarchi, ho passato tutto il mio tempo in banchina. Nell’ultimo sbarco erano una ottantina, erano tutte donne e bambini piccoli. Loro sono stati fortunati, sono arrivati, potevano affondare come tanti altri, sarebbero morte ottanta donne e bambini. E mi viene da pensare a tutte queste persone che si mettono su una barca per affrontare il Mediterraneo mentre c’è chi si lamenta che si riaprono i porti e che sono aumentati gli sbarchi. Ma quando mai, i porti sono stati sempre aperti. Dicono, meno ne partono e meno ne muoiono, ma è una falsità, non è vero; in percentuale ne sono morti di più ma non c’è più nessuno in mare che può testimoniarlo. Noi sappiamo quanti ne arrivano ma non sappiamo quanti ne partono».
Vedendo le immagini di questo barcone, e di questi cadaveri, la mente riporta a un altro grave naufragio davanti Lampedusa, quello dell’ottobre 2013. Lei era lì quella notte?
«Il ricordo mi riconsegna un senso di profonda vergogna e la disumanità che sta invadendo la nostra società. Quel 3 ottobre lo ricordo benissimo, dovetti fare decine di ispezioni cadaveriche che mi hanno stravolto la vita, me l’hanno cambiata, mi fanno ancora stare male. Sono incubi che ritornano. Quando penso a quel bambino del primo sacco… Sembrava ancora vivo, e tutti quei bambini vestiti a festa, tutti morti. Li avevano preparati le mamme, come fanno tutte le mamme del mondo quando c’è da festeggiare qualcosa, come la partenza verso una nuova vita. Invece sono tutti morti. E chissà quanti ancora ne dovremmo vedere se non cambiano questi decreti sicurezza, se non prendiamo provvedimenti sia a livello nazionale sia a livello europeo».
Lei ora fa il politico, potrà incidere maggiormente in questi processi.
«Io sono qui, all’Europarlamento, proprio per questo motivo. Ho fatto questa scelta dopo aver visto trent’anni di sofferenza, trent’anni passati a sentir parlare di emergenza sbarchi, trent’anni di cadaveri. Credo che sia qui il posto dove si può cominciare a cambiare le cose. L’Europa è una macchina lenta, che non può dare risposte immediate come sta succedendo adesso con l’aggressione della Turchia ai curdi, ma bisogna pur cominciare. Abbiamo depredato l’Africa, dobbiamo restituirle qualcosa. Dovremmo cominciare con il lasciare in pace quelle popolazioni a cui abbiamo preso tutto».
Poco fa sottolineava il linguaggio violento di parte della popolazione in tema di migranti. Anche a Lampedusa sta accadendo. E’ cambiata la sua isola in questi anni, in tema di accoglienza e solidarietà?
«Ma no, non è così. Purtroppo anche lì c’è chi si è fatto influenzare da questa narrazione così feroce, crudele, basata su bugie e paura, di una invasione che non c’è. Ma l’indole dei lampedusani resta sempre la stessa ed è nel nome dell’accoglienza. Sono pescatori, conoscono il mare e le sue leggi».