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Almaviva, Bellanova: l’azienda non è stata corretta, il governa non accetta ricatti

“Di certo dall’azienda mi sarei aspettata maggiore senso di responsabilità…”.
Non nasconde la sorpresa e la contrarietà per quanto accaduto, Teresa Bellanova. Quei 2.511 licenziamenti decisi da Almanova Contact peri lavoratori di Roma e Napoli arrivano con il peso di un macigno in una vertenza che il viceministro allo Sviluppo economico ha seguito passo dopo passo negli ultimi mesi. “A fine maggio racconta abbiamo sottoscritto un’intesa che richiede tempo per andare a regime, tant’è che abbiamo attivato un tavolo di monitoraggio per verificarne gli effetti. Abbiamo messo in campo sei mesi di contratto di solidarietà e un ulteriore anno di cig a tutela del reddito e dell’occupazione, proprio per avere il tempo necessario perché l’accordo esplichi i suoi effetti. Abbiamo lavorato sull’inasprimento delle sanzioni per chi delocalizza, norma inserita in un emendamento al ddl Concorrenza all’esame dell’Aula del Senato, così come sulla eliminazione del massimo ribasso e l’attivazione della clausola sociale”.

 

Improvvisamente l’azienda ha scoperto che i conti non tornano…
“Nessuno nega i problemi dell’azienda, ma a tali problemi si risponde con un progetto che abbia delle prospettive, i cui elementi fondamentali sono quelli delineati nei punti dell’accordo del 31 maggio”.

 

In più c’è anche il tentativo di scaricare le responsabilità per delle intese non rispettate.
“Un accordo è sempre un compromesso tra posizioni ed esigenze diverse. Il fatto di non aver raggiunto un’intesa sulle questioni organizzative è un tema che deve essere affrontato dalle parti, tant’è che già avevamo riconvocato il tavolo di monitoraggio. Ma credo che non sia motivo sufficiente per una soluzione così drastica. L’auspicio è che ora ognuno faccia la propria parte e si assuma le proprie responsabilità”.

 

Se prima ad essere nell’occhio del ciclone erano soprattutto i lavoratori di Palermo, destinati a un trasferimento in massa, adesso peggio di loro stanno quelli di Roma e Napoli, che l’azienda ha deciso di licenziare. Che cosa è cambiato?
“In genere in questo settore si spostano le commesse, non le persone: direi che l’ipotesi di trasferimento per una quota di lavoratori da Palermo a Rende è una di quelle soluzioni semplicistiche che non mi sarei aspettata dall’azienda. Stiamo lavorando affinché il vincitore della gara Enel, persa da Almaviva, assuma delle responsabilità nei confronti dei lavoratori di Palermo sui quali incombe il trasferimento a Rende. Così come lavoreremo per scongiurare la chiusura delle sedi di Roma e di Napoli. E questo già a partire dal tavolo convocato per il 12 ottobre”.

 

C’è il rischio che si scateni una conflittualità fra i lavoratori di questa o quella sede?
“Questo è stato il mio timore sin dall’inizio. Per questo da mesi sto lavorando per evitare che tale conflittualità deflagri, e invito tutti ad assumere questo come principio guida nelle proprie azioni e nel modo di affrontare questa vicenda”.

 

Il ministero ha reagito duramente all’annuncio di Almaviva, ma ovviamente la cosa principale è tutelare il futuro dei lavoratori. Qual è la vostra strategia?
“Abbiamo reagito duramente perché il comportamento dell’azienda non è stato corretto. Il governo non accetta ricatti. In questi mesi abbiamo messo intelligenza e anima per cercare di tutelare i lavoratori, prospettando all’azienda gli strumenti per superare questa fase. Riporteremo tutti al tavolo, perché si affrontino le questioni senza omettere i problemi ma anche senza dare risposte semplificate. Da tempo abbiamo detto alle aziende dei servizi, ai committenti, alle rappresentanze sindacali e datoriali, di avere un confronto franco per portare a sintesi le strumentazioni utili: stiamo lavorando su un Fondo per l’innovazione, perché questo settore per crescere deve innovare e innovarsi. Stiamo ragionando su un sistema di ammortizzatori sociali più adeguato alle peculiarità del settore, così come sull’invito al rispetto delle regole, ad evitare comportamenti che configurino concorrenza sleale: ma questo non si può fare per decreto. Su questo è necessaria la serietà e la sensibilità delle parti”.

 

Con i sindacati c’è piena sintonia sul da farsi?
“In ogni vertenza, tanto più quando è così delicata, c’è il massimo rispetto delle parti e la disponibilità al confronto fino a che non si individui il percorso migliore a tutela del lavoro. Ma non è una questione di sintonia: semmai, il tema è la concreta disponibilità di ciascuno a concorrere alla soluzione del problema”.

 

Più in generale crede che esistano concrete prospettive di rilancio per il settore dei call center?
«Sono convinta che il settore dia servizi necessari al sistema produttivo. Questo è un settore nato per abbattere i costi delle imprese con le esternalizzazioni facendo ricorso a lavoro temporaneo e non qualificato: è diventato un ambito ricco di abilità e competenze, nel quale le persone sono cresciute professionalmente e hanno da offrire preparazione, esperienza e serietà. C’è il lavoro buono se ci sono aziende sane, perciò più che un rilancio, la sfida è quella di riuscire a far comunicare lealmente le imprese che chiedono e quelle che forniscono servizi, senza pensare che i servizi esternalizzati debbano essere resi con i costi dei Paesi in via di sviluppo, ma che si possa invece valorizzare anche qui i talenti
e l’impegno”.

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