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Orlando: “Quanti errori il Pd a Napoli, ma ora ripartiamo da Sud e lavoro”

Renzi a Napoli per la seconda volta, in missione d’ascolto? Fa benissimo a venire e a scegliere quei luoghi: il problema è che non basta andarci, bisogna rimanerci. E, magari, costruire un partito». Andrea Orlando, ministro della Giustizia fin dal precedente governo, oggi rivale del suo ex premier per la conquista della segreteria nazionale Pd, apre stamane al Palacongressi, alla Mostra d’Oltremare, la sua conferenza programmatica. Oltre alla sua relazione, seguiranno «numerosi interventi di esponenti della politica, della cultura, dell’associazionismo» ( diretta streaming su www.andreaorlando.info.)

Ministro Orlando, quale Pd, e in quale paese, volete costruire? «Noi vogliamo rimettere nel dibattito pubblico parole che sono scomparse dal nostro partito. Parole come povertà, diseguaglianze, Mezzogiorno, o come Europa, come piena occupazione». Io – prosegue Orlando – provo a raccontare che un riformismo duraturo è un riformismo popolare, cioè non solo associato a un leader che realizza riforme legislative. Ma frutto di una mobilitazione nella società verso alcuni obiettivi, frutto di un agire collettivo. Che preveda il coinvolgimento delle competenze, degli intellettuali, di settori diversi. D’altro canto le riforme che hanno retto sono state fatte così. Quelle, invece, realizzate al chiuso delle stanze invecchiano prima, e cadono appena crolla la maggioranza».

E al di là di progetti e fondi, c’è lo spazio di un protagonismo del Sud, in questo processo?

«Si tratta di andare oltre gli stereotipi del Mezzogiorno, ovviamente. Investire di più sulla scuola, sulla ricerca, sui servizi sociali, su un rinnovamento più profondo della pubblica amministrazione. Perché occorre cambiare gli elementi del contesto che rendono difficile investire. Qui, gli investimenti scarseggiano non perché mancano strade o porti, ma perché si avverte un degrado. Ed è su quello che bisogna intervenire, con più radicalità».

A Napoli, il Pd non è riuscito a incidere: è al suo minimo storico per consenso e credibilità.

«C’è un partito da ricostruire totalmente…».

Ne ha parlato con l’ex premier, che 48 ore fa era in città? Tra l’altro, sempre tenendosi lontano dal Pd locale.

«Renzi fa bene a scegliere quelle esperienze, quelle storie, dobbiamo tutti ripartire da lì. Il punto è restarci come comunità di partito, tra quei cittadini e quegli esempi. Invece mi pare che siamo lontanissimi dal vero obiettivo. Siamo passati dal lanciafiamme, che Renzi prometteva di usare sul territorio, alla rimozione collettiva».

Ammetterà che il lanciafiamme, evocato dopo la disfatta della Valente, vi avrebbe colpiti in pieno: quella scelta fu voluta anche da lei.

«Ma io non nego che ci siano stati anche errori nostri. Anzi, mettiamola così: ha sbagliato il gruppo dirigente nazionale cui appartengo, ha sbagliato il Pd locale, e forse c’erano limiti anche da parte di quella candidatura? D’accordo. Ma c’è mai stata una sede in cui discuterne? In cui analizzare tutti questi errori? Non mi pare proprio. Anzi, siamo nella più cupa coazione a ripetere. Con la stessa rimozione, abbiamo agito dopo la sconfitta del referendum, a dicembre».

Un limite che guida anche l’opposizione a de Magistris? Lei è uno dei ministri che mantiene un dialogo col sindaco.

«Oddio, ci sono alcuni dei miei compagni di partito che in apparenza gli tirano bordate e sotto sotto stringono i loro accordi».

Nomi.

«Lasciamo stare. Tanto per essere chiari: a me sono molto ben presenti i limiti dell’azione e della proposta di de Magistris. Tuttavia penso che se lui sta al Comune, è perché non abbiamo saputo fargli un’opposizione costante e serrata. Dobbiamo cominciare a essere credibili noi per poter essere oppositori forti e riconosciuti».

E il calo nell’azione politico-amministrativa di De Luca?

«Mi lasci premettere che governare una regione come la Campania, in questa stagione di crisi, è un’impresa improba. Dopodiché io penso che accanto al De Luca tribuno e show man, ci sia un altro De Luca, dotato di cultura politica e grande capacità d’analisi, anche spietata, sul Pd. Il dramma è che alla sua radiografia non corrisponde un’impostazione adeguata. Qual è la sua risposta all’accusa di un Pd di notabilati? La risposta è fare il suo movimento al di fuori del Pd? O circondarsi di quegli stessi personaggi?».

Si riferisce ai Casillo, ai Topo.

«Mi riferisco a tutti quelli che sotto l’ombrello dell’adesione a Renzi se ne danno di santa ragione. E che, per usare un eufemismo, non hanno interesse a operare un rinnovamento autentico della classe dirigente».

Da Guardasigilli, lei torna nella città della lotta ai clan e alla corruzione, da cui è partita anche l’inchiesta Consip. Pensa che ci sia “un caso nel caso” nella giustizia napoletana, dopo le ultime scarcerazioni per docenti e professionisti?

«Non entro assolutamente nel merito delle decisioni. Ma complessivamente la magistratura napoletana ha inferto colpi durissimi ai clan e alle zone grigie. E sulla corruzione, ben vengano tutte le indagini. Ma ovviamente, come dice Raffaele Cantone, il tema va affrontato in termini di prevenzione. E torniamo al punto: anche questo sarebbe mestiere di una politica più forte ed autorevole».

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