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Cuperlo: “Non c’è anima né programma senza congresso il Pd è morto”

«Un congresso non si fa quando dieci persone decidono che sono pronte loro. Questo è un Pd senz’anima, se non va a congresso è un partito morto». È insolitamente duro Gianni Cuperlo che pure è rimasto finora, per carattere e strategia, il paladino del dialogo. Ce l’ha con i giochi dei «capicorrente» e denuncia: «Siamo diventati una confederazione di sottopartiti».
 
Cuperlo, la batosta del referendum allora non è servita?
 
«Dopo le dimissioni del premier e le parole di dignità di quella notte ho visto un gruppo dirigente narcotizzato. La destra gioisce. È caduto il governo. Di bicameralismo si riparlerà tra qualche anno ed è iniziato il count down della legislatura senza che ci sia una legge elettorale. Intanto aumenta la sofferenza di chi vive sulla pelle la violenza di diseguaglianze sempre più grandi. Il referendum è stato soprattutto un voto politico che ha bocciato governo, classe dirigente e alcune riforme simboliche. Insegnanti, precari, giovani, Mezzogiorno, la fotografia reclama una svolta».
 
Date l’idea di una comunità irrimediabilmente divisa.
 
«Il Pd è senz’anima e se non lo capiamo è destinato a morire. La crisi peggiore del secolo dovrebbe spingere la sinistra a fare ciò che ha rinviato per anni, un ripensamento di sé, delle sue ricette. Flessibilità, liberalizzazioni, pareggio di bilancio sono stati un cedimento culturale che ha rimosso la lotta a disparità e discriminazioni sempre più odiose. Anche in Europa il risultato è una sinistra costretta a tifare Fillon o Merkel, senza una leadership e una strategia in grado di riscattare gli ultimi della fila. Se davanti a questa scena il primo partito della sinistra facesse come i proti a Itaca ci sarebbe da indignarsi».
 
Tutti innocenti, solo colpa di Renzi?
 
«So riflettere sui miei limiti e anche sulle subalternità che vengono da prima. La norma sul pareggio di bilancio l’abbiamo votata noi quando Renzi era sindaco. Oggi il tema è come si ricuce con parti di società che hanno testa e cuore altrove».
 
Intanto niente congresso prima delle elezioni .
 
«Appunto, sono stanco di sentire dal pulpito la scomunica dei caminetti e poi capire che si riuniscono in sacrestia. Ma quando deve discutere un partito segnato dalla sconfitta? Ho sentito capi corrente farsi di colpo paladini di una fase di decantazione per evitare altri traumi. Ma che opinione hanno dei circoli, dei nostri iscritti, di chi ci vota?» Può fare qualche nome?
 
«Un congresso non si fa quando 10 persone decidono che sono pronti loro, lo si fa quando la realtà te lo chiede o te Io impone. Per me lo si deve fare prima delle elezioni e fissando regole nuove . Se la sinistra perde la fiducia verso le persone è difficile chiedere alle persone di avere fiducia in noi».
 
Molti elettori del Pd hanno ancora nel cuore il vecchio premier. Lei chiede un cambio di passo o un cambio di timoniere?
 
«A Renzi ho espresso la mia solidarietà. Altri che hanno condiviso grandi responsabilità non hanno avuto la stessa coerenza. Penso che lui abbia dato una scossa su temi importanti, dai migranti ai diritti civili e che abbia commesso errori gravi, primo tra tutti aver coltivato l’isolamento sociale del Pd con riforme, dal lavoro alla scuola, vissute come schiaffo al nostro mondo. Per me cambio di passo e del timoniere coincidono. Credo di avere coltivato la lealtà ed è quella stessa lealtà che mi porta oggi a denunciare cosa siamo diventati. Una confederazione di sotto-partiti».
 
Aveva ragione Macaluso che aveva detto: Comunque vada il referendum, il Pd perderà…
 
«Ha ragione certo. Aggiungo che il Pd rischia di esaurire la sua storia se non alza lo sguardo sulla realtà. Su cosa sia la grande crisi di questi anni, su come l’Occidente sta reagendo al venir meno del suo impianto spirituale, sulla fine delle politiche pubbliche che hanno dominato il ‘900, sul divario col Mezzogiorno che produce due nazioni in un corpo solo, sul bisogno di un modello alternativo di socialità e capitalismo. Se non abbiamo parole da dire su questo il resto è ceto politico».
 
“Via i voucher o il ministro”. E’ d’accordo con la linea Speranza su Poletti?
 
«Le norme sui voucher vanno cambiate. L’abuso è iniziato coi governi di prima e adesso la situazione è insostenibile. Penso che per primo Gentiloni ne sia consapevole».
 
Ma Poletti si deve dimettere?
 
«Ha detto frasi scorrette e ora si è scusato. A me interessa l’inversione radicale di una politica sbagliata».

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