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Cuperlo: “I miei dubbi sono più utili delle certezze di D’Alema”

In «un estremo tentativo di ridurre le distanze», poco più di una settimana fa Gianni Cuperlo ha firmato il documento che impegna il Pd a cambiare la legge elettorale. Unico della minoranza a farlo e quindi a votare sì al referendum, oggi chiede uno sforzo di unità prima di tutti al segretario-premier Matteo Renzi: sbaglia, ammonisce, a credere «che l’autorevolezza del leader passi dalla divisione del suo Paese e del suo campo».
 
In questi giorni ha ricevuto più insulti o incoraggiamenti?
 
«Ho sofferto quella firma al documento. Sapevo che persone che stimo l’avrebbero criticata o avversata. Ho ricevuto parecchi sostegni, ma ti spiace l’incomprensione con chi ha condiviso le tue battaglie e senti vicino. Ho pensato al giorno dopo e al dovere di un estremo tentativo per ridurre le distanze almeMatteo ha sbagliato a pensare che l’autorevolezza passi dalla divisione no sulla legge elettorale e l’elezione dei senatori».
 
D’Alema dice, riferito a lei, che «bisognerebbe stabilire limiti all’ingenuità»…
 
«Ah, si riferiva a me? Ingenuamente ho pensato fosse un’autocritica. Comunque continuo a pensare che i dubbi aiutano più delle certezze».
 
I rapporti nel Pd sono tesi, «un rodeo», ha detto lei: cosa si deve fare per recuperare unità?
 
«Il punto è che quel rodeo lo ha iniziato il premier. L’unità del Pd e della sinistra non è un totem o un atto di fede: conta su cosa e come la costruisci. Ma serve la volontà di raggiungerla quell’unità. Io non ho mai pensato che cambiare l’Italicum o eleggere direttamente i senatori fosse una concessione alle minoranze ma la via per istituzioni un po’ più solide. E anche il modo per ridare ossigeno a un centrosinistra più largo di noi. Perché questo dovrebbe esser chiaro a tutti: il Pd da solo non vince, ma senza il Pd a non vincere è la sinistra».
 
Quindi chi sbaglia è Renzi?
 
«L’errore più grande è nell’idea che l’autorevolezza del leader passi dalla divisione del suo Paese e del suo campo. Passare dalla rottamazione spinta alla divisione del mondo tra innovatori e conservatori, amici e nemici, prima che una caricatura è un abbaglio».
 
Bersani che chiede in una lettera a Repubblica una «riflessione collettiva» tenta il dialogo o certifica la distanza?
 
«Ho apprezzato il tono. Come Bersani penso che il problema sia un’onda potente che da destra si abbatte sulle nostre democrazie. Dobbiamo vederla e attrezzare una nuova sinistra a reagire. La premessa per farlo è anche nel cogliere la quota di verità nelle ragioni dell’altro».
 
Si può stare in un partito senza fidarsi del segretario?
 
«In un partito non si sta perché ci si fida ma perché si è convinti che quella forza sia necessaria per affrontare i problemi».
 
C’è il rischio di una scissione?
 
«Tempo fa ho detto che il Pd per me non era un destino ma una scelta da rinnovare e far crescere. Se alzo lo sguardo sul mondo temo il fallimento di questo progetto perché ricadrebbe su tutto il centrosinistra. Mi batto per evitarlo, ma è una sfida che non si vince in pochi. E la premessa è un Pd ancorato a sinistra».
 
Il referendum è legato alle sorti del governo o no?
 
«È stata una miopia del governo caricarsi una funzione che doveva essere del Parlamento. Con altri lo abbiamo gridato con proposte nel merito. Renzi ha detto che in caso di sconfitta lascerà Palazzo Chigi: direi che farlo è nelle sue corde».
 
Se vince il sì, come dice D’Alema, nasce il partito di Renzi?
 
«Mi sono sempre battuto contro l’idea di un partito piegato al volere di un capo. E il tema del troppo potere in una figura sola rimane. Al congresso sarà in campo un’alternativa a Renzi e a quella sua impostazione che mi ha portato a non votare jobs act, buona scuola e fiducia sull’Italicum. La coerenza non si chiede, si pratica».
 
Come giudica l’iniziativa della lettera spedita agli italiani all’estero?
 
«Se è vero che si tratta di una iniziativa del Pd e che altri in passato hanno fatto lo stesso, non vedo il problema. Se si fossero violate delle regole sarebbe giusto renderne conto».

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