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Bersani: “Nessuna scissione”

Compagno Bersani, te lo saresti mai immaginato che un giorno ti saresti trovato davanti me, un vignettista, come direttore de l’Unità, a intervistare te, in posizione di opposizione rispetto al segretario?

 

«A mia parziale discolpa dirò che non te lo immaginavi neanche te».

 

Io no. E tanto meno di trovarmi in disaccordo con te. Perché, tra i tanti segretari che ho avuto, sei stato uno di quelli più con i piedi per terra. Io ho litigato con Occhetto, con Berlinguer non ne parliamo, a Natta ne ho combinate di tutti i colori, D’Alema è stato un amore-odio continuo. Ma con te c’è stato un affetto immediato, perché ti ho sempre percepito come il dirigente più vicino alla sensibilità dei nostri compagni e quindi soffro questa tua posizione, in questo momento: perché da tutti mi sarei aspettato una posizione così rigida, ma non da te.

 

«Beh, insomma, io son quello là. Fatti sfiorare dal dubbio che io abbia ancora i piedi per terra e che senta sotto i piedi quello che sta succedendo, all’Europa e all’Italia. Guarda, io son certo di una cosa: che, come diceva Pasolini, “la vita finisce là dove comincia”.

 

Io non vado altrove, cerco di capire come posso tenere la bandiera di una sinistra in una situazione complicata. Gramsci diceva che la storia è maestra, ma non ha scolari. Una frase geniale. Ecco, noi abbiamo già avuto nella storia dei rapidi ripiegamenti della globalizzazione, come da tre anni sta avvenendo in modo accelerato. Questi ripiegamenti portano protezionismo, pensiero aggressivo che sostituisce il pensiero positivo e ottimistico, rifiuto di uomini e merci che arrivano da fuori, in sostanza un terreno favorevole a una nuova destra in formazione non liberale. Ne vediamo segni ovunque, da Orban al Canton Ticino a Trump alle Filippine, e noi pensiamo di esserne immuni. Io trovo allarmante questa cosa e se stiamo alla politica il fatto di semplificare in questo momento il sistema fino a cambiare di fatto la forma di governo significa sottovalutare quel che abbiamo sotto i piedi. Il neorenziano Macron, in Francia, sta dicendo che se c’è la febbre non puoi rompere il termometro e vuole correggere il meccanismo elettorale per lasciare sfogare un po’ di rappresentanza e non mettere la camicia di forza a una pentola a pressione. Io sono convinto di questo. Non farò comitati, però quando mandiamo il film avanti e succederà quel che succederà, non venissero a cercare me, che da aprile 2015 sto dicendo questo: cari compagni, non vedete la mucca nel corridoio. Dopo le europee, vi siete fatti un film che non c’è. Appena la destra troverà un minimo di quadratura del cerchio, arrivano. Guarda i risultati nei piccoli Comuni, alle amministrative: la sintesi tra leghisti e forzitalioti è già avvenuta e ci ha sconfitti ovunque. E io ricordo che quando ci fu l’Ulivo, l’Ulivo scattò in sei mesi, perché? Perché c’era già nel profondo del paese. Poi ci volevano anche D’Alema, Marini, Prodi che lo imbastissero, è ovvio… ».

 

Ci voleva anche una parte del nostro partito che ha contribuito a farlo cadere…

 

«Quella è storia di dopo. Io dico adesso: quella destra lì, c’è già. Appena trova un Prodi-D’Alema-Marini di destra che li ricuce, ce li troviamo davanti. Quindi, quando segnalo il tema, che è prima di tutto istituzionale, perché ormai tutti si stanno accorgendo che nell’incrocio tra le due riforme cambia la forma di governo, c’è anche un tema politico».

 

Però se non ci fosse la legge elettorale, tu voteresti sì?

 

«Io la riforma l’ho votata tre volte, come ricorda Renzi, e dicendo sempre: primo, a condizione che i senatori siano eletti; secondo, che ci sia un impegno a cambiare l’Italicum. Dopodiché, intendiamoci: sì, alla tua domanda rispondo di sì. Senza però fare del referendum l’alfa e l’omega, o cose epocali, perché la navetta ci sarà ancora».

 

Io parto dalla tua analisi dei populismi e dei pericoli enormi che gravano sull’Europa e l’Italia. A mio avviso è proprio questo pericolo che dovrebbe spingerci a difendere il governo, che è un governo di sinistra, che è un argine. Se lo butti giù, non favorisci l’avanzata di questi populismi anche in Italia?

«Intanto, dire che questo è un governo di sinistra, possiamo dirlo io e te…».

 

Ma se lo guardi nel panorama d’Europa, dimmene un altro più a sinistra di noi.

 

«Per l’amor di Dio, ma hai letto per favore il discorso di Theresa May? Sta dicendo ai suoi: ma perbacco, ma guardate come viene trattata l’opinione pubblica. Chi parla del problema dell’immigrazione è razzista, chi parla di stabilità del posto di lavoro è démodé. Oh ragazzi, stan prendendo su loro queste bandiere qui».

 

E chi ce le ha in Italia queste bandiere? Sul piano dell’immigrazione mi pare che da parte del governo ci sia un’attenzione enorme.

 

«Ma lo dico anch’io che siamo un governo di sinistra. Però, sul piano della stabilità del posto di lavoro, per esempio, ieri (lunedi, ndr) è stata fatta una direzione e non si è sentita la parola voucher…».

Ma è stato detto più volte che van rivisti…

«Non van rivisti, van tolti».

Rivisti, tolti, non facciamone una questione di parole. Vanno rivisti come va rivisto l’Italicum. La mia paura è che il tuo no aiuti questa deriva.

 

«Se non fossi convinto che la strada che si è presa tira la volata alla destra, non farei quel che sto facendo. Il giorno dopo per me deve esserci ancora Renzi. Lui ha fatto un errore madornale nell’illustrare al mondo che c’è un giudizio di Dio su quest’appuntamento…».

 

Certo che l’ha fatto, ma sta a noi avere più responsabilità: se ti ha promesso che dopo il 4 dicembre si rivede l’Italicum…

«Sì, sto sereno! No no. Se vince il sì, a meno che prima del sì non succeda qualcosa, diventa un sì anche all’Italicum. Si tira dritto e si va contro un muro. Se mi sbaglio, son contento».

Io non so se ti sbagli, mi auguro che ti sbagli però non ne son sicuro nemmeno io. Io vengo qui carico di dubbi come te. Però penso che nella storia del nostro partito, nel nostro modo di essere, non si pone una posizione quasi di ricatto: dimmi questa cosa se no faccio quest’altra. Perché devi metterla così? Non la puoi mettere in positivo: io voto sì però tu mi devi garantire questo e quello? E se poi non mantiene, allora sarò anche io in piazza con te.

 

«No, mi dispiace che tu parli di ricatto…»

 

Tu dici: se non c’è la sicurezza di una modifica, io voto no. È brutto sentirmelo dire da un compagno.

«È l’unico modo di fermare questa strada».

 

Ma apri un’altra voragine. Non pensi che se si va alle elezioni vincono i grillini, che diamo l’Italia a questa forza di destra populista…

«Io dico che bisogna sdrammatizzare questo appuntamento, perché un referendum è un referendum. Ricordo che non tutti i democristiani votarono per la Repubblica…».

 

Ma se vota no Fassina è una cosa, Bersani è un altro discorso. Tu sei un punto di riferimento per tutti noi, anche per chi ti critica. Io ti critico col cuore in mano, e mi spiace non trovarmi d’accordo con te, vorrei capire.

 

«Beh, fa’ uno sforzo… guarda, quando vedo una destra conservatrice, protezionista, che può dare dei messaggi anche al mondo del lavoro, vedo che questa destra non coincide con dei partiti: Trump sta distruggendo il partito repubblicano, la May sta facendo il contrario della Thatcher. Io dico che se monta una cosa così, bisogna che le contrapponiamo un’area che può solo essere un centrosinistra ulivista. Il Pd deve mettersi a servizio di un messaggio che aggreghi, non che divida il campo. Ma se anche io domani dico sì, pensi veramente che mi vien dietro la nostra gente?».

Sì .

«No, te lo dico io, no. Per le amministrative ho girato tutta Italia e tanti mi dicevano: ciao Bersani, bravo, ma io stavolta non voto. Il problema è più profondo, e tu vai a dividermi da Cgil, Arci, Anpi, perché devi fare di questo appuntamento il giudizio di Dio?». In un’altra situazione, anni fa, ci saremmo comportati in modo diverso: avremmo portato le considerazioni che stai facendo nella discussione, e dopo, di fronte a un voto maggioritario, ci saremmo messi a lavorare tutti insieme. «Ma questo presupponeva una discussione, e il famoso sforzo di sintesi. Siamo andati avanti nella distruzione di certi modi di comportarsi, certi costumi di partito, certi valori…».

 

Mi sembra strano che tu voti un no che aumenta questo disagio.

 

«Io, per quel poco o tanto che conto, quelli che mi ascoltano li sto tenendo dentro. Sto cercando di fare in modo che chi ha una sensibilità simile alla mia non abbandoni la speranza che si chiama Pd, con tutte le coltellate che mi han dato alla schiena, perché vado in giro e gli dico: oh, ma dove andate? Io sto facendo questo mestiere. L’ho già detto, per vedermi fuori dal mio partito la Pinotti deve mandare l’esercito. E non mi si dica che considero Renzi un corpo estraneo. Io lo so cosa vuol dire esser ritenuto un corpo estraneo, perché il giorno dopo che vinsi con milioni di voti le primarie, Francesco Rutelli se ne andò dal Pd, con una pattuglia di altri, alcuni dei quali son rientrati dopo che ha vinto Renzi. Io lo so cosa vuol dire, non si permettano di dir di me una cosa del genere. Per me lui è il segretario. E dovrebbe farlo. Compresa l’esigenza di uno sforzo di colloquio, di dibattito vero, di sintesi. Lo avesse fatto, non saremmo a questo punto»

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