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Quell’inaccettabile ‘se l’è cercata’ di una Melito che non è solo Calabria

Ci sono argomenti da affrontare con molta attenzione e cura, anche lessicale, perché come recita un vecchio adagio popolare la lingua non ha ossa ma le rompe.
Chiunque abbia letto della vicenda della giovane sedicenne di Melito Porto Salvo vittima di violenza sessuale da parte di un branco di uomini, quando di anni ne aveva solo tredici, non può che rimanere indignato a qualsiasi longitudine e latitudine di questo Paese.

 

Una storia di violenza criminale che distrugge la vita di una bambina.
I media in questi giorni hanno riportato della scarsa partecipazione ad una manifestazione di solidarietà che si è svolta a Melito che ha trovato ampia eco anche attraverso i social.

 

Sono però preoccupata che in questo modo non si aiuti né la ragazza né la comunità di Melito perché alla fine rischiano di essere danneggiate esclusivamente le vittime.

 

Perché vittima è la bambina e vittima è anche una comunità, quella di Melito, che per un pericoloso sillogismo viene identificata come solidale con i violentatori cosa a cui è difficile credere. Allora perché questa paura?

 

Non intendo assecondare questo tipo di deriva irrazionale mentre è mia volontà quella di lavorare per rafforzare gli anticorpi contro ogni forma di violenza e di pericolosi pregiudizi.

 

Lo dico perché il caso di Melito va inquadrato in una dimensione di crisi educativa ben più ampia. Nelle scorse settimane, infatti, abbiamo avuto modo di leggere anche di una ragazza, in provincia di Vibo Valentia, ferita dal fratello solo perché indossava una minigonna e non possiamo più far finta di non vedere.

 

Per questo l’unica cosa di cui non abbiamo assolutamente bisogno è quella di cadere nella semplificazione mediatica che diventa respingente e produce, per una paradossale eterogenesi dei fini, effetti collaterali devastanti in cui gli unici a beneficiari rischiano di essere proprio gli autori delle violenze.

 

Per scuotere le coscienze serve un costante lavoro di educazione in territori dove lo Stato fa fatica ad essere riconosciuto come tale.

 

Bene, quindi, le parole del Procuratore De Raho e di tutti coloro che quotidianamente si confrontano con queste periferie dell’umanità e con vicende che risultano assolutamente sconvolgenti per la loro drammaticità e che superano ogni possibile immaginazione.

 

Serve un grande patto tra le istituzioni per un modello educativo che contribuisca a formare una cultura refrattaria alla violenza. Dobbiamo sconfiggere il “se l’è cercata” che abbiamo letto o quell’antropologia da bar del “sono cose che accadono solo in Calabria” .

 

Il nostro impegno deve essere finalizzato a contrastare in ogni modo queste barbarie e ciascuno è chiamato a svolgere la sua parte proprio perché certe cose non accadano più.
Perché una bambina di 13 anni possa continuare ad essere tale, una bambina.

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