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Giachetti: “Parliamo di tutto ma parliamone in un congresso”

Gli altri organizzano cene, lui risponde con lo sciopero della fame: Roberto Giachetti non è mai stato uno da mezze misure. Obiettivo: ottenere una data precisa per il congresso del Pd. Una casella nel calendario politico auspicata da molti (ma sempre meno, ultimamente), temuta da qualcuno (in campo, per ora, c’è solo Nicola Zingaretti), ma che nessuno si assume la responsabilità di indicare.

Lei è uno che quando si arrabbia lo dice. Questa volta è stata colpa della nuova moda delle cene?

«Ma si figuri. Le cene non mi preoccupano: si sono sempre fatte, sempre si faranno e le dico anche che sono persino utili quando le fanno esponenti politici di rilievo. Magari, ecco, sarebbe stato elegante evitare inviti pubblici».

Eppure lei è arrabbiato.

«Ma certo, perché il mio partito è in difficoltà, i problemi sono tanti e non si risolvono né a casa di Calenda, né in trattoria con Zingaretti, né con la boutade di Orfini che dice di sciogliere il Pd. E quando, dopo queste schermaglie, vedo che il Pd sta sotto il 17%, io mi arrabbio. Mi arrabbio perché penso ancora che siamo l’unico baluardo in grado di fermare la deriva sovranista. Mi arrabbio perché, invece di mettersi al lavoro per rilanciare il nostro progetto, si traccheggia».

Lei chiede una data prima delle Europee, ma il presidente Orfini ha chiesto di spostarla a dopo.

«Così, però, Orfini mette in discussione quello che si è deciso e votato in Assemblea nazionale. Li avevamo detto che il congresso andava fatto entro le Europee».

La tesi è che, ora, un congresso si trasformerebbe in rissa. Lei non ha questo timore?

«Basta vedere cosa sta succedendo a non farlo, il congresso. Invece che nella sede consona e davanti a quel famoso “nostro popolo” di cui ci riempiamo la bocca ogni giorno, un congresso si sta nei fatti svolgendo sui giornali, in televisione, sui social. Dovunque, tranne che nella suo luogo naturale. Prolungare ulteriormente l’attesa alimenta e anzi acuisce le risse».

E nel congresso lei spera in una sintesi?

«Il congresso è il luogo dove un dibattito politico trova necessaria composizione, attraverso una articolazione democratica e un voto con le primarie. Anche perché faccio notare che in questa vicenda, per ora, sono coinvolti tutti tranne che i veri proprietari del partito: i nostri iscritti ed elettori».

Per ora, però, mancano anche mozioni chiare. Solo Zingaretti si è esposto chiaramente.

«Le posizioni politiche sono molte, le abbiamo lette in queste settimane. Ci sono anche Calenda e Orfini, per esempio, che propongono lo scioglimento del Pd: un tema di rilevanza politica straordinaria. Il problema, però, e che queste tesi non vanno confrontate sui giornali o in tv ma devono essere validate dal nostro partito. Ogni posizione è legittima, quello che non è legittimo è che questo dibattito avvenga ovunque tranne che nella sua sede deputata».

La sua è una sfida a trovare una maggioranza interna?

«Io dico una cosa semplice: ora tutti possono dire ciò che vogliono sulla stampa, perché non corrono il rischio di dover ottenere un riscontro democratico nel partito. Tutte le posizioni sono legittime, ma perché diventino linea politica devono ottenere la maggioranza. Prendiamo l’idea dello scioglimento: chi la propone ha il dovere di candidarsi a sostegno di questa tesi e verificare se è condivisa dalla maggioranza. Così si ottiene una sintesi e si va avanti».

Deduco che lei non condivida l’idea di sciogliere e rifondare il Pd.

«No, penso che il Pd sia un progetto incompiuto che va terminato. Ci aveva provato Veltroni, ma lo hanno fatto dimettere. Ci ha provato Renzi, ma è stato bombardato dal fuoco amico. Io credo ancora che il nostro rilancio stia nel compiere fino in fondo il progetto di un partito democratico e aperto, nel quale trovare un punto di sintesi tra le culture popolare e post-comunista. Il Pd è nato con l’obiettivo di diventare maggioritario nel Paese, mettendo in campo una proposta politica che, a partire da quei due mondi, sappia attrarre un popolo più vasto».

Non sta nemmeno con Zingaretti, però.

«La sua linea politica è legittima, ma non condivido l’impostazione di voler cercare l’alleanza coi M5S, l’azzeramento di una classe dirigente e nemmeno l’idea di rimettere in discussione la nostra precedente azione di governo».

Sul fronte renziano manca ancora un nome

«E io aspetto di saperlo. Vorrei sapere non solo chi sarà il candidato, ma anche cosa vorrà fare. Soprattutto, mi piacerebbe leggere un capitolo chiaro sulla riorganizzazione del partito nelle sue articolazioni interne. Bisogna trovare modi e forme per garantire quella partecipazione politica più vasta di cui tutti parliamo, ma che continuiamo a non realizzare. Detto questo, la priorità è la data del congresso, senza la quale è inutile discutere di candidature vere o presunte».

Mentre prosegue la discussione, però, ci avviciniamo alle elezioni europee. Le piace l’idea di una lista antisovranista, che vada da Macron a Tsipras?

«In linea di principio sì, basta che siamo d’accordo sul fatto che non si tratti di un progetto che nasce in provetta».

In che senso?

«Si tratta di un progetto che va costruito, non può essere una accozzaglia di sigle in stile L’Unione, che 5 minuti dopo il voto vanno per conto loro. Non pensiamo di risolvere il problema con formulette magiche».

Teme che l’unico collante sia l’antisovranismo?

«Ribalto la questione: il punto di congiunzione deve essere la centralità dell’Europa, che si ponga in automatico contrasto con le tesi dei sovranisti. Però, per essere credibili, dobbiamo fare lo sforzo di descrivere l’Europa che vogliamo, consapevoli che quella di oggi viene vissuta in modo indigesto dai cittadini e non somiglia a quella che era nei progetti di Spinelli e Rossi. Questo intendo quando dico che bisogna costruire un progetto: non basta mettere insieme tanti pezzi e sventolare il no al sovranismo».

Provocatoriamente viene da obiettarle che il tempo è tiranno: di qui a maggio lei vorrebbe fare un congresso e costruire un progetto europeista?

«Le ribadisco che si può fare, il problema è capire se c’è la volontà politica».

Prova a proporre una data per il congresso?

«Il congresso si potrebbe tranquillamente fare entro dicembre, unificandolo ai congressi regionali già convocati ed evitando di chiamare la gente a votare alle primarie per quattro mesi di seguito. Ribadisco: basta la volontà politica di farlo».

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