Il 10 febbraio è il giorno del Ricordo. Dedicato alla memoria delle vittime delle Foibe e del dramma dell’Esodo. Ricordiamo migliaia di italiani barbaramente trucidati dall’esercito di Tito e centinaia di migliaia di donne e uomini cacciati dalle loro case e dalla loro terra. Le gravissime responsabilità del regime fascista e la sua guerra di aggressione non possono certo giustificare le violenze dell’esercito jugoslavo, che ha perseguito un lucido disegno di occupazione del territorio. Ispirato, ad un tempo, dall’ideologia comunista nella sua versione totalitaria e stalinista e da un nazionalismo rivolto contro tutti gli italiani. Poi, per tanti anni quella tragedia è stata cancellata dalla memoria del Paese. Negli anni della guerra fredda, anche a seguito della rottura fra Jugoslavia ed Urss. Oggi finalmente tutti gli italiani sono chiamati a ricordare quanto accaduto. Prima di tutto per un dovere di memoria verso quei nostri connazionali e poi per affermare le ragioni di un’Europa unita, che in nome della libertà e della democrazia rifiuta ogni forma di sopraffazione e totalitarismo.
Andrea De Maria
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Ricordiamo sempre le vittime delle foibe e i nostri fratelli e sorelle che furono costretti a lasciare la loro terra #GiornodelRicordo
— Matteo Renzi (@matteorenzi) 10 Febbraio 2016
Onoriamo gli innocenti Giuliano-Dalmati infoibati o dispersi dalla violenza ideologica. #GiornodelRicordo pic.twitter.com/Wc10kjhaXh
— Debora Serracchiani (@serracchiani) February 10, 2016
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Oggi è la giornata del ricordo. Io ho iniziato a ricordare molto tempo prima che la giornata venisse istituita. Perché mio padre, che era nato nel 1918, mi aveva raccontato fin da piccola che cosa era successo. Non era di quelle terre, era toscano, ma era sempre stato guidato da un profondo senso di giustizia. “La storia spesso non è giusta – mi diceva proprio lui che la storia l’amava -. E ci sono voci che i libri di storia preferiscono lasciare in sordina”. Ho continuato a ricordare. Anche da prof, in classe con i miei ragazzi, anche scontrandomi con qualche collega. Ma l’essere scomoda mi è sempre venuto naturale.
Poi ci pensa la vita: quelle terre e quelle persone e quella sofferenza e quella complicazione e quelle radici mescolate le ho incrociate sulla mia strada. Ho ascoltato storie, ho sfogliato album fotografici, ho visitato case e cimiteri.
E ho portato le mie bambine a basoviza, alle foibe. Le ho portate, loro che sono un po’ italiane, un po’ tedesche, un po’ croate. Le ho portate perché voglio che comprendano che l’unico rimedio a intolleranze, discriminazioni, soprusi, violenze, sta nel ricordo e nella memoria. E nel sentirsi tutti parte dello stesso mondo. Loro sono Europa. E sono l’unico futuro possibile.
Simona Flavia Malpezzi